PARCO E VILLA
"Urge un piano economico-gestionale di breve e medio periodo che indichi come si intenda valorizzare il complesso - in particolare la Villa Reale -, con quale tipo di programmazione culturale, scientifica e turistica, con quali obiettivi sul piano dei flussi di visitatori e di prestigio delle manifestazioni."
Provando a fare un bilancio degli ultimi 15 anni di gestione della Reggia di Monza e del suo Parco abbiamo un esempio di come la logica della privatizzazione, in voga nelle amministrazioni locali dalla crisi del 2008, non sia riuscita a migliorare la condizione e la fruibilità di questi monumenti cittadini.
Tredici anni, ad essere precisi, perché assumiamo come inizio della nostra analisi il bando Mariani del 2010, progetto che, con ristoranti e mostre gestite da privati avrebbe dovuto ridare centralità e lustro alla Villa Reale. Un piano ventennale che fece accapponare la pelle a tanta parte della popolazione monzese, che in quei mesi raccolse addirittura 12000 firme sotto lo slogan “La Villa Reale è anche mia”, ma che fu ignorato e financo deriso da un centro destra già in quegli anni incapace di confrontarsi col dibattito pubblico, mentre prometteva mirabolanti “ministeri del nord” e musei delle carrozze di dubbio gusto. Nonostante l’opposizione sociale e la bagarre in aula il bando passò. Con quel bando, circa €24 mln vennero destinati alla Villa, che bastarono a malapena per il restauro del corpo centrale e una programmazione che nonostante le aspettative non riuscì a portare in città una programmazione culturale solida. La triste storia di questo bando si conclude appena dopo la pandemia, quando Attilio Navarra – gestore degli spazi della Villa – sporge causa al Comune di Monza per €10 mln di mancati profitti, accusando addirittura la giunta Allevi di “far scappare i privati” e affermando che avrebbe cercato “amministrazioni più illuminate”. Durante questa gestione, con il suo apice durante gli anni di giunta Scanagatti, è il Parco ad avere un rilancio: vi si svolgono concerti, una tappa del Giro d’Italia e la visita di Papa Francesco. Anche la Villa, potendo contare su collaborazioni di alto profilo, gode negli stessi anni di una grande visibilità. Ma nonostante questo, i problemi di gestione dell’ambito continuano: soprattutto le ville e gli stabili interni al parco sono sempre più fatiscenti e non si ha idea di cosa potrebbero ospitare in futuro. Mancando un’idea delle destinazioni d’uso, mancano anche visione e progettazione.
A sopperire, almeno in parte, a questa mancanza di visione complessiva sarebbe dovuto arrivare in soccorso il Masterplan legato all’Accordo di Programma per la valorizzazione della Villa Reale e del Parco di Monza – il piano che deve indicare l’impiego e l’allocazione della cosiddetta “Fase2” dell’Accordo, per un totale di €32 mln.
IL MASTERPLAN – UNA PIATTAFORMA CHE DEVE ESSERE APERTA
L’elaborazione dei documenti del Masterplan, affidata esternamente a una RTI, avrebbe dovuto vedere l’apertura di una fase partecipativa, che tuttavia non è mai stata messa in atto (fatta eccezione per una piccola indagine preliminare e la campagna #lareggiaditutti). A causa dell’indirizzo politico di Regione e Comune di Monza sotto l’amministrazione di Allevi, per anni il processo di stesura del Masterplan è rimasto oscuro tanto alla cittadinanza, quanto addirittura ai soggetti non proprietari finanziatori del Consorzio (Camera di Commercio e Assolombarda). All’insediamento della Giunta Pilotto, la redazione dei documenti risultava pressoché al termine e con scarso margine di intervento. Alla luce delle tempistiche ormai risicate, la linea duplice approntata dalla Giunta è stata dunque quella, da una parte, di correggere gli aspetti più problematici del testo e di chiedere l’allocazione delle risorse della Fase2 per interventi conservativi e di recupero; dall’altra, di spingere per l’apertura di una fase di co-progettazione a valle dello sdoganamento del testo da parte del Collegio di Vigilanza (31 maggio 2023). Quest’intervento in extremis non poteva tuttavia avere la velleità di modificare radicalmente il testo, che soffre della mancanza di confronto ampio con cittadinanza, esperti e altre istituzioni. Per questo motivo è stato compiuto uno sforzo importante da parte dell’assessorato di riferimento per ottenere una fase di confronto. Pur a fronte di un lavoro molto importante e approfondito di analisi preliminare, è evidente, infatti, che il Masterplan abbia subito i forti indirizzi della committenza – a partire dalla selezione dello scenario di mantenimento dell’anello di alta velocità, all’installazione (sventata) di una cittadella dello sport sostanzialmente asservita all’Autodromo e, quasi nottetempo prima dell’approvazione in Collegio di Vigilanza, la garanzia del mantenimento del golf all’interno del Parco, nonostante la laicità degli stessi redattori rispetto alle concessioni. Tali influenze hanno finito col compromettere uno degli intenti principali del Masterplan, ovverosia superare le dicotomie e le contraddizioni all’interno del complesso, finalmente considerandolo come un bene unitario e coerente. Da questo punto di vista, si tratta di un’occasione persa, che cristallizza la situazione attuale, non tanto perché il Masterplan imponga vincoli normativi (non lo fa, non essendo documento giuridicamente vincolante), ma perché fornirà pronta fonte esegetica a chi oggi difende interessi incrostati, logiche privatistiche e cattiva gestione delle concessioni, le quali, comunque, come hanno gravato nel processo di redazione del Masterplan, parimenti avrebbero continuato a gravare nella vita gestionale del Consorzio.
Il Masterplan però risulta uno strumento volutamente non esaustivo, di mesolivello e per molti versi generale, non vincolante, duttile, che può e deve lasciare spazio di manovra – o almeno potrebbe lasciarlo, laddove vi fosse volontà politica. Un esempio su tutti: nel Masterplan, risulta pressoché assente un ragionamento ampio sul cambiamento climatico, che andrà inevitabilmente a incidere – foss’anche solo tra le voci del budget – sulla vita del complesso. Allo stesso modo non si fornisce volutamente un’indicazione univoca per quanto riguarda i canoni di concessione. Si presta per essere utilizzato, dunque, più come una piattaforma recettiva e malleabile, piuttosto che come dettame scolpito nella pietra. Compito dell’amministrazione e di LabMonza è dunque sostenere questa interpretazione, per consentire la sufficiente elasticità e capacità politica di comprendere nuove istanze, bisogni, rettifiche nell’attuazione della Fase2, nella revisione delle concessioni, e, soprattutto, nell’ideazione della Fase3, non ancora finanziata. Prim’ancora, bisognerebbe finalmente vedere realizzati gli interventi già individuati in Fase1, che ancora non hanno visto la luce. I €32 mln che oggi trovano allocazione rappresentano un’occasione importante – seppur parziale – di potenziamento del sistema-Parco, non solo perché andranno a incidere su beni bisognosi di recupero, ma anche perché consentiranno di diversificare le fonti di introito di un Consorzio fragile sul piano delle risorse disponibili – specie per quanto riguarda la parte corrente e le risorse umane. La strategia delineata nel Masterplan, infatti, insiste perlopiù sull’offerta di servizi all’interno del Parco, anche attraverso concessioni, laddove oggi vi è una forte carenza.
LA GESTIONE DEL CONSORZIO
L’ingresso di nuove fonti di finanziamento (tramite concessione o tramite nuovi finanziatori) è il vero nodo: oggi il Consorzio risulta ostaggio di poche fonti di introito molto consistenti: poche, sostanziose concessioni (Autodromo e Golf in testa) che compromettono la capacità di regia e gestione del plesso, nonché la natura pubblica del bene. Il Consorzio è nei fatti dipendente da tali introiti, che forniscono pertanto una leva negoziale impareggiabile ai concessionari e che ostacolano il Consorzio nell’esercizio del ruolo che dovrebbe svolgere nell’amministrazione delle concessioni, a partire dalla previsione di condizioni, funzioni e canoni più adeguati al contesto. Diversificare le fonti di approvvigionamento, poter contare su un bilancio solido prescindendo dai grossi player privati, sarebbe il primo passo per emanciparsi ed assurgere a vero pianificatore della vita del Parco e della Villa nella loro integrità. Pretendere che il Consorzio possa svolgere questo ruolo con bilanci scarsi e una struttura ridotta ai minimi termini non è realistico, ma fa gioco a chi vuole mantenere un controllo indiretto sulla sua azione.
Specie ora che la Villa è tornata attiva in via sperimentale per cinque giorni a settimana, una forte azione di reperimento di sponsor e benefattori – oggi completamente assente – sarebbe un primo importante passo avanti nella direzione giusta, che ancora inspiegabilmente non è stato compiuto. Parimenti cruciale sarebbe l’ottenimento di un finanziamento annuale commisurato alle disponibilità da parte del Comune di Milano e del Ministero della Cultura, oggi decisamente sottodimensionato. In terzo luogo, a prescindere dalle generiche linee tracciate dal Masterplan, urge un piano economico-gestionale di breve e medio periodo che indichi come si intenda valorizzare il complesso – in particolare la Villa Reale -, con quale tipo di programmazione culturale, scientifica e turistica, con quali obiettivi sul piano dei flussi di visitatori e di prestigio delle manifestazioni.
La premessa necessaria a tutto questo è il potenziamento dell’organico del Consorzio, attraverso l’integrazione di figure di elevata competenza: la creazione di una governance solida e la presenza di personale altamente qualificato sono la condizione affinché l’ente possa svolgere le funzioni per cui è stato creato, esercitando il proprio ruolo di regia in maniera quanto più indipendente, tutelando la natura pubblica del bene.
Un potenziamento sensibile dell’organico è anche l’unica strada verso l’apertura e il consolidamento di collaborazioni di altissimo livello, specie per quanto riguarda la programmazione culturale. In questo senso è già possibile agire a livello politico, riallacciando legami con enti come Triennale, ADI, Palazzo Reale e le altre regge nazionali e internazionali. Ma rischia d’essere – com’è già stato – sforzo effimero che si esaurisce nel giro di un mandato amministrativo se non sostenuto da una struttura consortile degna di questo nome.
IL GOLF, L’AUTODROMO E LE CONCESSIONI
Per rovesciare la logica che finora ha sorretto i rapporti tra Consorzio e grandi concessionari, è necessario porre condizioni e obiettivi concreti, pragmatici, ma chiari, alla base delle concessioni, che pongano dei criteri minimi entro cui il concessionario deve muoversi e che guardino a degli standard di sostenibilità globale del Parco.
Tutti i concessionari devono essere responsabilizzati nel raggiungimento di tali obiettivi, dal più piccolo al più grande, e proporzionalmente alle dimensioni. Parlare di “unitarietà della Reggia” rimane flatus vocis se non è accompagnato da una condivisione reale dell’onere della tutela di un bene complesso come quello della Villa Reale e del Parco, elemento che da oltre un secolo manca. Tutela che non può che avere una sola e chiara interpretazione: la tutela di un bene che è innanzitutto e prioritariamente ambientale, storico-culturale e pubblico. Ciò non esclude qualsivoglia attività antropica dal proprio perimetro, né la presenza di concessioni (che possono essere anche rilasciate a enti pubblici o a privati che esercitano funzioni pubbliche), né la presenza selezionata di concessioni onerose a privati che vi si insediano per scopi di lucro, ma impone dei criteri e delle condizioni ulteriori rispetto ad altri contesti. Impone una gerarchia chiara nelle variabili da considerare nella valutazione di ciò che può esservi realizzato, che andrebbe formalizzata quanto prima. Vale la pena di ricordare quali siano le tre specificazioni della sostenibilità secondo l’ONU: sostenibilità ambientale, sostenibilità economica, sostenibilità sociale. Ebbene, se l’obiettivo è quello di una sana gestione del plesso reale, che preservi l’unitarietà del bene e che includa tali direttrici, è indispensabile che esse prevalgano sugli interessi peculiari che spingerebbero i singoli attori concessionari a perseguire tali direttrici solo parzialmente o a non perseguirle affatto, per proprio vantaggio. Per dirla più semplice: se la governance del Parco si porrà tali obiettivi – come riteniamo debba fare, per la natura stessa del bene – essi dovranno essere inclusi strutturalmente all’interno delle concessioni, non lasciate alla buona volontà degli interessati. Perché va da sé che certi standard risultino spesso anti-economici e in contraddizione con le logiche di mercato, pertanto poco appetibili per i singoli concessionari, ma sono anche politicamente non più demandabili e di interesse collettivo.
Sembrerà banale doverlo affermare, ma dev’essere il Consorzio a fissare i criteri e le richieste delle concessioni sulla base delle proprie esigenze, non viceversa. Dati gli interessi che gravitano attorno alle grandi concessioni vigenti, tanta banalità non è mai stata praticata; al contrario, mentre al Golf non è mai stato richiesto uno sforzo reale, fattivo di apertura al pubblico e di raggiungimento di standard minimi ambientali, il canone dell’Autodromo si è addirittura contratto negli ultimi cinque anni, senza che vi fosse alcun tentativo, dall’altra parte, di valorizzazione ambientale, culturale o turistica concreto che andasse oltre ai tre giorni di Gran Premio. E se si può ammettere che oggi i canoni delle grandi concessioni siano indispensabili per la sussistenza dell’ente, allora si potrà anche ammettere che questi canoni possano essere aumentati – o “massimizzati”, come suggerito dallo stesso Masterplan – a seconda delle esigenze del Consorzio stesso, ammettendo parimenti di poter considerare alternative, tanto per quanto riguarda le funzioni o le destinazioni delle aree, quanto nei soggetti concessionari. Se dietro al velo della tradizione si incistano privilegi, improvvisazione, miopia e provincialismo, poco c’è da stupirsi se il nostro amato complesso non sia mai riuscito a svilupparsi, valorizzarsi e ad avere continuità gestionale.